Griffe «La fabbrica deve tornare di moda»

Mar 01, 2013 1072

Ha salvato un marchio storico americano dal declino, evitato la chiusura di due fabbriche obsolete con centinaia di dipendenti che rischiavano il posto e un'intera razza di pecore pregiate dall'estinzione. Negli 11 anni e mezzo da quando è padrone di Brooks Brothers (la griffe che ha vestito 39 presidenti, da Abramo Lincoln a Barack Obama) Claudio Del Vecchio, figlio di Leonardo il fondatore di Luxottica, ha dimostrato che c'è un futuro per la manifattura dell'abbigliamento anche nei Paesi occidentali investendo su qualità e innovazione.

Parlando con CorrierEconomia a NewYork, durante un dibattito su «fare business fra Italia e Stati Uniti» organizzato da Alma (il network degli italiani con Master in legge conseguito negli Usa), Del Vecchio ha spiegato le novità di Brooks Brothers, dall'apertura di nuovi negozi in Italia all'esordio delle sue collezioni su Amazon.com.

A quando risale la sua passione per Brooks Brothers?

«Agli anni in cui Gianni Agnelli rese famose in Italia le camicie botton-down. Appena arrivato a New York nell'82, Brooks Brothers è stato il primo negozio che ho visitato, diventando subito cliente».

Nel 2001, quando ha deciso di comprare questo marchio pensava di cambiarlo con il gusto e lo stile italiani?

«No. Sapevo che la mia forza era l'esperienza nella manifattura che avevo acquisito nell'azienda di famiglia, la Luxottica, con la sua estrema attenzione alla qualità dei prodotti. Certo nel mio Dna c'è la sensibilità italiana. Ma il motivo per cui ho comprato Brooks Brothers era il suo patrimonio storico: ero convinto che avesse grandi potenzialità di tornare un grande marchio e che il suo problema fosse la qualità, scaduta a un livello non coerente con la sua tradizione».

Che peso ha avuto la manifattura nel rilancio?

«È stata fondamentale. Nel 2001 Brooks Brothers aveva due vecchie fabbriche, una per le cravatte a New York e una per le camicie nel Nord Carolina. Erano destinate alla chiusura perché perdevano troppi soldi. Sono andato a visitarle e ho scoperto che le difficoltà non erano dovute al costo del lavoro, ma alla mancanza di investimenti nella tecnologia e nei macchinari, vecchi di 25 anni. Così ho deciso di tenerle, anzi, ne ho comprata un'altra in Massachusetts durante l'ultima recessione. Ho tenuto anche i dipendenti e cambiato invece le macchine, con nuove tecnologie dall'Italia e dalla Germania».

Pensa che un approccio simile sia possibile anche in Italia?

«Certo. Chi in Italia ha continuato a investire nella produzione di qualità, con o senza marchio proprio, ha avuto successo. Loro Piana e Zegna sono due buoni esempi: per loro la Cina è stata un'occasione per espandere il loro mercato, non un'alternativa per la produzione. Altri hanno puntato negli ultimi 25 anni solo sui prezzi. Ma se si tiene conto di tutti i fattori, il costo del lavoro incide sul nostro business più o meno allo stesso modo in Cina, Italia e Stati Uniti».

 

Molti materiali e prodotti li compra anche lei all'estero: quanto dall'Italia e come seleziona i fornitori?

«La nostra politica è comprare il miglior prodotto possibile, non importa da dove. Solo per i jeans e le scarpe privilegiamo il made in Usa. Per la lana pregiata Saxxon Brooks Brothers ha salvato dall'estinzione le pecore che la producono in Australia: adesso lo fanno in esclusiva per noi. Dall'Italia e dall'Europa prendiamo gran parte del filo per le camicie che fabbrichiamo in Nord Carolina. E Loro Piana è diventato uno dei nostri maggiori partner per le stoffe, mentre non lavorava con noi nel 2001».

Come mai ha deciso di investire 3 milioni di euro per aprire tre nuovi negozi in Italia nel mezzo di una grave crisi dei consumi?

«Fa parte di un piano di espansione in diversi Paesi, compresa la Russia e l'India. Roma è una piazza importante per Brooks Brothers: da tempo puntavo su uno spazio particolare e finalmente l'ho trovato a San Lorenzo in Lucina, dove apriremo a fine maggio. A Milano, in Brera il 15 febbraio ha aperto il primo negozio Flatiron dell'Europa, rivolto ai giovani; il secondo sarà a Bologna, da marzo».

La crescita globale significa che differenziate l'offerta a seconda dei gusti locali?

«No. Lo stile è disegnato qui, nel quartier generale newyorkese, unico per tutto il mondo. Ogni Paese può solo scegliere fra i diversi capi della collezione».

Quali i piani su Internet?

«Il 20% del nostro business è sull'ecommerce, ma finora tutto sul sito americano. Quest'anno inizieremo a vendere online creando siti locali».

A proposito di ecommerce, lei ha appena premiato Jeff Bezos a nome della Federazione americana dei commercianti: come mai, visto che Amazon.com è il «nemico N.1» dei negozi di mattoni e cemento?

«C'è poco da fare, è il miglior venditore. Tutti dobbiamo fare i conti con Bezos. Ho deciso di sperimentare una collaborazione con lui: dall'autunno Amazon.com venderà una collezione Brooks Brothers per bambini. Dalla reazione dei clienti vedremo se continuare e come».

di Maria Teresa Cometto / Il Corriere della Sera

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